Piede Piatto. Fatti, termini, opinioni e buon senso.

Fino a prova contraria la storia dell’umanità non registra decessi per piede piatto. Anzi, la maggior parte degli esseri umani tende verso un aumento delle componenti che inducono verso condizioni simili e che spesso, anche erroneamente vengono scambiate per piede piatto.

Occupandomi di piede e postura è molto frequente imbattermi in domande del tipo: “Dottore ma io ho il piede piatto?”.

Il primo aspetto da trattare  è la terminologia.
Solitamente i seguenti termini vengono confusi e spesso usati come sinonimi o in alcuni casi addirittura ne viene negata l’esistenza, cominciamo:
🎯 Piede piatto
🎯 Piede calcagno valgo
🎯 Piede pronato
🎯 Piede valgo
🎯 Piede everso
🎯 Piede abdotto
E chi più ne ha più ne metta (fino anche a parlare di cose impossibili da certificare con la sola osservazione come medializzazioni o movimenti di assi articolari etc).

Questi termini tra loro hanno degli aspetti in comune ma NON sono la stessa cosa, possono sicuramente coesistere in alcune condizioni ma ciò non ne giustifica l’uso come sinonimi da parte di operatori poco attenti che rischiano di creare confusione nelle persone.

Il piede piatto è una condizione che risponde a meccanismi ben precisi e che deve essere inquadrato clinicamente attraverso una indagine RX sotto carico in cui l’angolo di Costa-Bertani risulti maggiore di 130°.

L’errore più frequente che si compie di solito è quello di assegnare a priori ad una determinata struttura una specifica funzione senza in realtà indagare effettivamente né l’una, né l’altra.

Al contrario è invece fondamentale studiare un piede sia sotto l’aspetto strutturale che quello funzionale, ovvero un inquadramento morfologico e inquadramento di funzionamento. In questa maniera la definizione di piede piatto potrebbe essere confermata o no.

I termini elencati precedentemente sono solamente indicativi di un aspetto morfologico ovvero di come il piede della persona si presenta ai nostri occhi. Punto e basta. Se fossimo delle statue forse questo inquadramento potrebbe risulterebbe sufficiente per dare una risposta alla persona che abbiamo davanti, ovvero rispondere alla domanda iniziale “Dottore ma io ho il piede piatto?”. Purtroppo o per fortuna siamo vivi e in movimento per cui una sola descrizione morfologica non è sufficiente ad inquadrare la persona e si necessita sempre di un quadro di funzionalità e corretto svolgimento dei movimenti, indipendentemente dalla presenza di algie.

 

Nello studio della struttura e della funzione, quindi anche nello studio di ciò che spesso viene definito piede piatto, si deve considerare che ogni nostro segmento corporeo ha una sua determinata struttura al fine di assolvere una specifica funzione e, al pari, lo svolgimento di questa funzione plasma ed influenza la struttura del segmento stesso.

In questa costante dicotomia tra la struttura e la funzione troppo spesso l’attenzione viene dedicata in forma sbilanciata o verso l’uno o verso l’altro aspetto. Il collegamento tra “come è e cosa fa” un piede consente di comprendere aspetti di coerenza o incoerenza tra la funzione e la struttura, uscendo dalle gabbie del concetto spesso errato di piede piatto o piede cavo.

Per tale ragione un professionista dopo l’esame morfo-strutturale dovrebbe porre attenzione su:
🎯 Presenza di dolore causato dall’assetto strutturale o dal movimento
🎯 Capacità residua di movimento corretto sui piani anatomici secondo i range propri della fisiologia articolare
🎯 Capacità di attivare correttamente la muscolatura intrinseca ed estrinseca del piede
🎯 Capacità di stabilizzare la posizione monopodalica
🎯 Capacità di eseguire e controllare gesti complessi quali cammino, corsa, salto o attività specifiche.

Questa sequenza di interventi consente di comprendere gli equilibri tra la struttura e la funzione motoria. Questa modalità di ragionamento non è certo priva di errori e non è infallibile, consente però di comprendere quale intervento potrebbe essere più utile per la persona partendo da soluzioni semplici fino a quelle più complesse e tenendo in considerazione tutto quello che può essere fatto: consulenza chirurgica, trattamento ortesico, posturologico, propriocettivo, manuale, chinesiologico, coordinativo, olistico, sensoriale etc.

Prima di passare poi al trattamento ogni operatore dovrebbe essere a conoscenza di quanto il soggetto può autocorreggersi o meno.

Qui due esempi:

ESEMPIO 1

Il primo esempio riporta lo stesso soggetto nella sua posizione eretta rilassata (in alto) e con il piede in autocorrezione attraverso un’attivazione della muscolatura intrinseca ed estrinseca del piede (in basso). Questa prova fotografica è stata svolta dal collega a seguito di un lavoro di sensibilizzazione, mobilità e rinforzo del piede.
Il lavoro sul piede, soprattutto quando viene definito piede piatto in maniera molto sbrigativa, deve sempre prevedere una valutazione sulla capacità di autocorrezione, è un passaggio fondamentale. Nella foto ad esempio è visibile che in autocorrezione il primo metatarso di destra si solleva, indicando una disfunzione podalica che in alcuni lavori scientifici viene attribuita ad una difficoltà del tibiale posteriore.
Senza questa prova è difficoltoso essere certi di cosa può e sa fare il piede e quindi la correzione assume un significato “passivo”.

 

ESEMPIO 2

Nella foto il piede di sinistra è in una condizione che le classificazioni strutturali utilizzate precedentemente chiamerebbero piede piatto ma in questo caso i test funzionali sarebbero impossibili da svolgere. Il soggetto in questione a causa di un intervento chirurgico più di 10 anni fa è andato incontro ad una degenerazione nervosa che ha totalmente compromesso la sua funzione e di conseguenza la struttura podalica. L’ipotonotrofismo della muscolatura e l’incapacità a svolgere movimento per mancanza di attivazione nervosa in questo caso modifica sia la struttura che la funzione, ponendo il professionista di fronte ad un problema ancora diverso da gestire rispetto a quello trattato in precedenza.

Riassumendo, la proposta di ragionamento offerta in questo articolo prevede che:
🎯 L’inquadramento del piede (ma vale in realtà per tutto il corpo) deve obbligatoriamente essere svolto tenendo in considerazione sia la struttura che la funzione dello stesso. Classificazioni solo strutturali o solo funzionali sono mancanti di una parte
🎯 La valutazione funzionale deve procedere attraverso dati misurabili e comparabili al fine di valutare l’efficacia di qualsiasi trattamento
🎯 Il trattamento deve essere svolto secondo quelle che sono le proprie competenze e in osservanza dei propri profili professionali senza invadere/giudicare il lavoro altrui
🎯 Nel dubbio fate ginnastica e attività fisica 😅

Segui i post su Luca Russo – Postura, Biomeccanica e Ricerca

 

Dott Luca Russo Ph.D.

2021-01-02T16:36:12+00:00